Secondo una odierna e distorta logica, chiunque manifesti simpatie e valutazioni positive per l’esperienza Fascista viene automaticamente collocato a “destra” del panorama politico, secondo i canoni di uno schematismo limitato, sclerotico e sterile, probabilmente anche perché pesa in questo giudizio parte del più recente percorso missino.
In realtà la “destra”, sia liberale che nazionalista, sia reazionaria che conservatrice, ha poco a che fare con l’identità autentica, profonda e oggi assai fraintesa del Fascismo, quella che Mussolini espose nel discorso del Teatro Lirico a Milano, un’era geologica fa, nel 1943.
Un termine, quello di “destra”, che oggi si utilizza per comodità d’espressione, in senso generico, per semplificazione comunicativa, ed a cui debbo pur ricondurmi nel noioso quadro identificativo della politica dei giorni nostri, nonostante la categoria “destra”, per come si conosce e si manifesta certa “destra” oggi, risulti ben lungi dalle mie idee. Casomai, quando mi riferisco a questa categoria politica, penso al significato alto e nobile che ad esso attribuivano gli antichi Greci e Romani (per andare prima del Fascismo) o all’esempio incarnato da Uomini come il compianto Adriano Romualdi o l’inossidabile Primo Siena (per quanto riguarda invece il post Fascismo).
Della mia immagine del mondo, delle mie proiezioni politico-temporali, di ciò che realmente sento come idealità, ravvedo ben poco in cui potermi identificare oggi “a destra”; in particolar modo non trovo la continuità di ciò in cui credo in alcun rappresentante di questa sedicente “destra”; conseguentemente sono obbligato, come tanti, a sostenere ciò, e soprattutto chi, meglio conosco, per rapporto personale diretto, senza perder tempo ad ascoltare i pettegolezzi ed i condizionamenti di molti, troppi, prezzolati giornalai che fanno purtroppo opinione tra le masse.
In questi anni ho seguito con attenzione molti movimenti e formazioni politiche, ma senza rimanerne affascinato; condivisibili molti programmi, ma sempre mal interpretati. Questioni di carattere generale, soprattutto in termini di immigrazione, sicurezza, politica estera, sono trattati da molti cosiddetti “leaders” in maniera sommaria, grossolana, tra slogans e virtualità (non certo virtù), che hanno affossato qualsiasi analisi lucida, ovviamente scomoda, di buon senso e a medio lungo periodo, che non debba obbligatoriamente rivolgersi alla pancia (elettorale) della gente, per consensi dal fiato corto, effimeri e volatili.
Gli intellettuali che tengono alta la bandiera culturale della nostra visione del mondo, sono solitamente i primi a venir esclusi, nascosti, dimenticati, a vantaggio magari di soggetti alla Fallaci o prima di essa Armando Plebe (tanto per tornare alle vicende del MSI). “Riferimenti culturali” che dovrebbero essere tenuti a distanza siderale dal nostro mondo, e invece…
Potremmo tranquillamente definire la “destra” odierna come “antifascista” nello spirito, in quanto incapace di fare sintesi, di rappresentare un collante e punto di riferimento per le tante anime orfane di fermezza, ordine e disciplina.
Un’area, quella definita di “destra”, quasi anarchica (nulla a che vedere però con la figura dell’anarca jungeriano), che si bea nel sentirsi dire quel che le piace del proprio “ideario” di seghe mentali, ma incapace di interagire con la società in cui viviamo, ed ancor più incapace di leggere il repentino mutamento delle dinamiche socio-politiche ed economico-finanziarie. Giustizialismo sommario, becerismi reazionari, atteggiamenti patriottardi: i “valori” portanti di questa destra italiana nella quale chi, come me, e come chi rappresento, non si può identificare.
Le campagne elettorali cui assisto in questi giorni sono sempre più scadenti e prive di contenuti. Il dibattito politico serio è stato sostituito dall’insulto gratuito, dal pettegolezzo, dalla triste messinscena del “bue che dà del cornuto all’asino”. Si guarda al fumo delle parole e mai alla concretezza dei fatti. Si sceglie sempre di stare dalla parte opposta del proprio avversario politico su qualsiasi tema, a prescindere da valutazioni di merito e dall’interesse generale e nazionale (vicenda referendum docet).
In questa tornata elettorale amministrativa le scelte decise dagli uomini di Progetto Nazionale hanno guardato al concreto, liberi dai dettami partitici, optando per soluzioni appropriate con l’espressione del territorio. Chi fa politica deve assumersi la responsabilità delle proprie scelte e i “nostri” uomini lo hanno fatto. L’amministrazione locale si basa sulla conoscenza del territorio, sul rapporto diretto e costante con la gente e quindi sul rapporto personale e politico di chi si impegna per esso, con la capacità, il pragmatismo e non sulle controversie partitiche dei salotti romani o milanesi.
Esiste ancora chi fa politica per passione – pochi soggetti per la verità – ed è con loro che ci si deve confrontare. La città di Verona, per quanto unica, ne è un esempio.
Il sistema partitico è scoppiato, le grandi coalizioni elettorali sono miseramente fallite, il centro è smarrito, la destra è in agonia e la sinistra in burrasca.
Ci raccontano però che avremo la libertà di votare e di scegliere il prossimo Governo…ma, pur senza sapere ancora con quale legge elettorale, avremo nostro malgrado un panorama politico indecente, con la doppia opzione assai poco confortante di finire in padella oppure fritti…salvo, accettandone le regole a noi sgradite, e senza alcuna intima adesione interiore, mettersi in gioco ed essere della partita. Vedremo!