Anche nel 2025 è giusto, è doveroso, non dichiararsi antifascisti, e questo a prescindere dal fatto che ci si creda, ci si senta, ci si dichiari “fascisti” o ci si atteggi a “fascista”.
Non è nemmeno questione di sigle e di posizionamento istituzional-parlamentare o meno. No.
Il punto è che non esiste alcuna precondizione, alcun veto che si debba accettare per fare politica – diversamente declinata – se non quella di agire nel perimetro stabilito dalla legge italiana.
Il problema è la demonizzazione che taluni vogliono applicare ad altri, tenendo ben presente che al cedimento verso un ricatto, seguirà il ricatto successivo.
Chi accetta le imposizioni antifasciste – vedi per esempio il “patentino antifascista” – accetta un suicidio politico (dato che prima o dopo, comunque, quella scomunica verrà usata anche contro di lui) e avvalla un sistema ricattatorio mafioso inaccettabile per principio.
Non siamo invasati nostalgici, non siamo acefali, tantomeno ruminanti con l’anello al naso.
Oggi, ma non da oggi, vi è tutto un corposo arsenale di idee, di frecce da mettere nella faretra della nostra cultura e formazione politica che servono a smascherare le trappole ideologiche dei nostri nemici politici, a smontare la narrazione retorica dell’antifascismo come instrumentum regni con cui la Sinistra ha costruito sistema di potere e carriere: politiche, sindacali, accademiche, culturali…perché col chiagni e fotti antifascista si campa, bene.
Anche recentemente, dichiarazioni di esponenti autorevoli del mondo della destra, come il Presidente del Senato Ignazio La Russa o della giornalista Annalisa Terranova, che non si sono piegati alle paranoie antifa (a furia di costruirsi un mostro e di fissarlo in modo maniacale si finisce con il dargli vita: dentro di sé!), hanno suscitato un certo scalpore e il solito codazzo di polemiche scontate e strumentali.
Nella sostanza e per estrema sintesi, il loro (e di altri) rifiuto di sottostare ai dicktat della Sinistra è presto detto: come potrebbe chi ha un vissuto anni infuocati di militanza e lotta politica missina (e chi poi ha seguito lungo quel solco), dichiararsi antifascista, quando proprio in nome dell’antifascismo questi vide ammazzati (quasi sempre senza colpevoli individuati e senza giustizia riconosciuta) camerati e amici? Per quale motivo chi non ha anagraficamente conosciuto l’esperienza fascista per diretto vissuto, ma ha invece incrociato nella propria parabola politica l’antifascismo militante – con tutto il suo portato di intolleranza, sopraffazione e violenza politica – dovrebbe mai dichiararsi antifascista?
Questo può suscitare scandalo solo presso chi è in malafede e/o è animato da secondi fini. Punto.
Vivaddio quando si manifestano segnali positivi di qualcuno che non china il capo davanti ai conformismi, ai ricatti e alle logiche del nemico, anche con una dialettica politica magari non completamente condivisibile: è comunque un fatto stimabile, un afflato di orgoglio, di libertà, di coerenza.
È tutta salute quando la non centralità dell’antifascismo fa solitamente sbarellare gli antifascisti in generale, le sue vestali come l’Anpi, la presunta «società civile»!
Chi sbraita di «pericolo fascista» – sapendo bene che non esiste – mette in scena una pagliacciata.
Utilizzare l’antifascismo in assenza di Fascismo come spauracchio per mascherare il proprio fallimento e perpetuare il proprio potere con tutte le sue ricadute redditizie, diffondendo odio e divisione; quando il partito è in difficoltà, ricompattalo con l’antifascismo: applicazione del principio togliattiano.
Nessuna frase, nessun gesto che esprima condanna verso premesse ed esiti della ventennale esperienza mussoliniana sarebbe sufficiente perché la sinistra conceda alla destra la patente democratica nel nome assoluto della nuova religione laica antifa. Si sarà perennemente sub iudice finché la struttura portante dell’apparato statale non sarà gradualmente eradicata e rifondata.
Il re va messo a nudo: il fantasma del fascismo è la foglia di fico dietro cui la Sinistra vuole nascondere i fallimenti delle proprie utopie e delle proprie ricette politiche. Che i compagni siano i migliori alleati, anzi i tirapiedi, i sicari, del capitalismo spinto, della finanza apolide speculativa, è sempre più palese.
Una Sinistra, specie quella estrema, esercito di riserva del liberalismo.
Bisogna abbassare la legittimità del nemico, eroderne la credibilità, disturbarne la narrazione, ma al tempo stesso è necessario elevare la propria di credibilità e legittimazione, senza parlare la lingua del nemico. Sì perché balbettare frasi come «ecco i fascisti rossi» o «ecco la conferma che i veri fascisti stanno a sinistra», quando gli antifascisti praticano la violenza (non di rado pianificata!) è, oltre che una falsità, una idiozia bella e buona!
Ragliare di «fascismo degli antifascisti» è confusione intellettuale, nella “migliore” delle ipotesi, quando non è cattiva fede. Si tratta di manifeste accettazioni e sottomissioni alle logiche del nemico. Per debolezza, per paura, per opportunismo (scemo e miope), per senso d’inferiorità, e quindi per mancanza di centro, di formazione, di verticalità.
Avallare il teorema per cui quando qualcuna di sinistra si comporta da violento non è di sinistra, ma semplicemente si sta comportando da “fascista”, è un cedimento ad una trappola ideologica che angelica i compagni facendo il loro gioco; è un non senso da rigettare!
Quando minacciano, quando aggrediscono, quando picchiano, gli antifascisti stanno facendo esattamente quello che una parte di loro (grande, piccola, diffusa poco importa, ma prepotente, arrogante, violenta e coccolata, coperta spessissimo di sicuro) è abituata a fare, da troppo tempo, nell’indifferenza e purtroppo non di rado nell’impunità.
Una violenza della Sinistra è sempre esistita.
Solo gente come la Boldrini può affermare senza vergogna e senza senso del ridicolo che «L’antifascismo è una cultura pacifista e ripudia la violenza» (24 febbraio 2018).
BANDO AD EQUIVOCI E LAMENTI PATETICI
Consapevolezza – Pourquoi nous combattons verrebbe da dire con Guillaume Faye – , lucidità e dignità impongono però l’evitare atteggiamenti scomposti e patetici circa il fatto che il nemico discrimini, cerchi di estromettere, provi a distruggerci sul piano sociale, civico, economico, professionale, e colpisca giudiziariamente e talora anche fisicamente.
Non pietire ammissibilità, non chiedere scusa a questi oscuri guardiani.
È il “sistema” con le sue regole truccate, marce. Ad appellarsi piagnucolosi al “sistema” si rischia la buffonata, la recita di ruolo, costruire e difendere invece spazi di autentica differenza.
Ci sono esempi, come quello del grande Jean-Marie Le Pen, da poco asceso ai Campi Elisi, che testimoniano come si possano evitare i tranelli dialettici del nemico e ribaltare la polemica, passare alla controffensiva senza indietreggiare, spiazzare il nemico, il provocatore; o come il compianto Adriano Romualdi, che nelle sue opere seppe tracciare linee guida per una nuova cultura a supporto teorico di una grande politica a beneficio di una Destra non remissiva e succube dei nemici.
Certo, si tratta di prodigiose eccezionalità, ma a quelle si dovrebbe guardare per illuminare la via.
Gli appelli alla «democrazia» violata oggi fanno ridere. Meglio sarebbe, politicamente parlando, guardare in faccia la realtà, la quale ci dice che non da oggi quella della democrazia rappresentativa (per come la si è conosciuta e/o per come ce l’hanno raccontata) sia una fase in via di superamento.
Gioverebbe interrogarsi invece sulla post-democrazia, dato che tutte le potenze (o aspiranti tali, come dovrebbe essere l’Europa che rimane al momento incompiuta) che pesano e che contano nel mondo (non solo quella egemone americana) della cosiddetta “democrazia” se ne fregano, al di là delle cortine fumogene propagandistiche, hanno come cifra distintiva il decisionismo.
UNA PICCOLA RIFLESSIONE
Detto quello che si doveva e si poteva qui sinteticamente esporre, toccando solo di striscio questioni che meritano di essere meglio approfondite, una riflessione va fatta.
Tenuta, coesione, acume, intelligenza e coordinamento vanno messi in campo per evitare provocazioni ingenue – e fini a se stesse – che forniscano ragioni emotive al nemico nei suoi deliri, nel suo legiferare liberticida.
Agire con determinazione ma anche con discernimento.
Applicare anche una strategia “entrista” che porti consiglieri comunali e/o comunque rappresentanza istituzionale che operi sul concreto, si distingua e si faccia apprezzare dalla gente comune sul piano politico e culturale puntando sulle contraddizioni degli avversari, pena il rischio di restare sempre nei limiti di contestatori marginali e inefficaci, chiassosi e provocatori sì, ma del tutto irrilevanti.
Chiaro che non è l’unica strada, e nemmeno quella maestra; è una strada/opzione/mezzo che però non ci si deve obbligatoriamente precludere, consci comunque delle potenzialità e dei limiti.
OSSERVIAMOLO L’ANTIFASCISMO
Se ci soffermassimo ad osservare l’antifascismo nei suoi aspetti psicanalitici, metafisici ed esistenziali non sfuggirebbe la sua marcata subalternità al fascismo ovvero l’antifascismo ha il fascismo come centro della propria condotta, e quindi quasi una impossibilità di una proposta politica ed esistenziale autosussistente; emerge tra gli antifascisti (non solo tra loro, certo) una diffusa incapacità di affermare se stessi se non per negazione (del fascismo), un po’ come i reazionari; il bisogno permanente di richiamare il fascismo anche più dei “fascisti” stessi per proteggersi, per tutelarsi: la retorica antifascista come una sorta di comfort zone della Sinistra.
E già per questo, il non definirsi antifascisti, rifiutando di piegarsi alle richieste morali e politiche del nemico – scelta sempre perdente – dovrebbe renderci felici.
IL PATENTINO ANTIFASCISTA
Vuoi usufruire di uno spazio pubblico?
Devi firmare la dichiarazione di antifascismo detto anche “patentino antifascista”.
Una delle ultime trovate delle giurie dalla moralina stucchevole che autoproclamano la loro superiorità etica e antropologica nelle amministrazioni guidate dal centrosinistra, meglio se a condotta Pd.
Infatti sul finire del 2017 si è rapidamente diffusa la moda di vincolare la concessione di spazi pubblici alla firma di un documento in cui il richiedente deve sottoscrivere una dichiarazione antifascista.
A Bologna Firenze, Cuneo, Cesena, Pisa, Siena, Prato, Pontedera, Lecco, Bergamo Milano, Parma, la Regione Toscana, Vicenza, Verona, Piacenza e in tante altre località minori, è stata presentata, approvata e poi inserita nei regolamenti per la concessione di spazi pubblici, di patrocini e contributi per attività o eventi, la clausola antifascista.
Puoi essere il peggior delinquente, la tua mente può essere attratta dalle peggiori aberrazioni del pensiero, puoi essere un apologeta della lotta armata e sostenitore dell’illegalità ma se autocertifichi il tuo antifascismo allora via libera all’accesso di servizi pubblici che invece ti sono negati se non fai professione di antifascismo.
Sono questi gli “atti politici” che danno alla Sinistra la sensazione di avere uno scopo, una identità. Di più, da quelle parti, oggi non c’è. E gli scheletri restano negli armadi…
“Er nemico”
Un Cane Lupo, ch’era stato messo de guardia a li cancelli d’una villa,tutta la notte stava a fa’ bubbù.
Perfino se la strada era tranquilla e nun passava un’anima: lo stesso! nu’ la finiva più!
Una Cagnola d’un villino accostò eje chiese: “Ma perché sveji la gentee dài l’allarme quanno nun c’è gnente?”
Dice: “Lo faccio pe’ nun perde er posto. Der resto, cara mia, spesso er nemmico è l’ombra che se crea pe’ conservà un’idea: nun c’è mica bisogno che ce sia.
Trilussa
Numero-62-gennaio-2025-Antifascismo.pdf